Nonostante le numerose generazioni appartenenti a questo inestinguibile continuum militante, le donne ancora oggi si ritrovano a dover affrontare gravi violazioni dei diritti fondamentali che le legano al proprio corpo. Un esempio di ciò è la protesta Polacca delle ultime settimane contro la restrizione di pratiche abortive da parte del partito conservatore PiS, limitate ulteriormente nei casi di gravi patologie.
Per comprendere appieno le forze in gioco, è necessario volgere lo sguardo al contesto storico-sociale del dibattito. Dopo il 1989, con gli orrori della Polonia post-comunista, principalmente impegnata nell'estirpazione del precedente regime comunista, il fuoco fondamentale del discorso politico si oppose a quella che fu una delle più liberali politiche sull'aborto in Europa. La disputa fu costante e periodica, seguita da un'abolizione completa dell'aborto da parte del governo Polacco nel 1993, e dall'iscrizione costituzionale nel 1997. In questo contesto il discorso si stabilizzò su tre fronti ideologici che delineano considerazioni radicalmente divergenti non solo sulla questione femminile, ma anche democratica. La prima posizione prettamente Cattolica e conservatrice si oppone ferocemente all'aborto sulle premesse del diritto inalienabile alla vita dell'individuo nascituro; al contrario, una simile logica deontologica è abbracciata dal fronte liberale, focalizzando però su una visione negativa dei diritti, in difesa dell'autonomia individuale e della neutralità statale. La terza posizione infine include le ideologie femministe che sviluppano un discorso incentrato prettamente sui diritti delle donne. In quest'ultima visione è possibile trovare il cuore della questione, che utilizza un linguaggio non liberale, ma femminista, come luogo di riconsiderazione del ruolo femminile e della sua auto-definizione. Il vero problema emerge perciò in questi termini, e come tale deve essere risolto. Infatti, i diritti sociali e politici delle donne perdono il loro significato se la questione dell'aborto è affrontata in una dimensione fetale o costituzionale-istituzionale. Il primato di una cellula fecondata sull'integrità umana di un individuo sviluppato nello spazio sociale ed identificato come tale dai suoi simili diviene un affronto alla sua dignità. Nessuna rivendicazione sulla sacralità della vita di un feto può sussistere se non accompagnata dalla ricognizione della sacralità femminile che conserva e garantisce la vita. Per questo, la predominanza dell'esperienza femminile dovrebbe essere accolta nella sua abilità di compiere decisioni e definirsi autonomamente. Oltre a ciò, contro l'ideologia conservatrice, si possono considerare tesi non solo contro la pratica stessa, ma contro l'utilità sociale delle leggi che proibiscono l'aborto. Tuttavia, verrebbe a mancare il fuoco del discorso, che è propriamente l'offesa contro l'esperienza femminile e la sua legittimità. Infatti, dovremmo tentare di implementare questa rigida 'etica dei diritti', puramente legale e maschile, con quella che la filosofa femminista Carol Gilligan definisce 'etica di cura', abbracciando un concetto più femminile di relazioni umane non-gerarchiche e non-economiche. La differenza fra le posizioni liberale e femminista, sebbene entrambe a favore dell'aborto, consiste nel fatto che la prima concerne un'emancipazione in termini di diritti e doveri, mentre la seconda punta ad una liberazione sostanziale, con lo scopo di comprendere le differenze sessuali anziché solamente formalizzarle. Nelle parole della psicoanalista Luce Irigaray, lo strumento di quest'ambizione non dovrebbe più essere uno specchio, alzato dalle donne perché gli uomini vi si riconoscano e definiscano, ma uno speculum, lo strumento di auto-esplorazione femminile. Solamente con questa conoscenza di se stesso, il genere femminile può comprendere che la sua diversità non è semplicemente una mancanza, una lacuna, un vuoto, ma una differenza positiva ed arricchente. L'inquietudine ed il timore che sorgono con la mancata comprensione della diversità creano l'abominio della natura umana che si tradisce, come l'esempio dello stupro del Gennaio 2019 a Lima, Peru, dove il tribunale ha assolto il colpevole in quanto la vittima indossava biancheria di colore rosso. La nostra società è dominata da quello che Julia Kristeva chiama 'ordine simbolico', dominato dalla figura del padre e definito attraverso il linguaggio e l'ideologia; questo si oppone all' 'ordine semiotico' che include i segni e le gestualità della comunicazione che la madre instaura con il figlio sin dalla nascita. Impariamo ad abitare il mondo attraverso il secondo, e successivamente ci definiamo attraverso il primo nel campo sociale. L'atto semiotico, spontaneo della riproduzione femminile coinvolge anche l'aspetto creativo della generazione, che trascende ogni significato culturale. Infatti è possibile pensare la procreazione di ogni donna come puramente biologica, al di fuori delle limitazioni sociali. Tuttavia, nel nostro esistere sociale, la questione femminile è divenuta sempre più invischiata nella dimensione politica, creando una 'biopolitica' che tenta di amministrare e controllare le funzioni biologiche della nostra vita. In questo contesto che forma la base della politica costituzionale moderna, è necessario comprendere che la soluzione alla questione femminile appartiene e deve essere affrontata nello spazio politico; non vi può essere alcun tentativo plausibile di definirlo al di fuori di questa località. Solamente riconoscendo che la politica in verità non si limita solamente a forme costituzionali, e agendo con la consapevolezza di una realtà biopolitica, possiamo piantare i semi dell'equalità. Dobbiamo ricordare la nostra appartenenza a questo 'eterno femminile', così definito da Goethe, come ciò che ci trae verso l'alto. Al femminile, proprio come alla terra, dobbiamo rendere grazie in quanto agente della forza creativa della vita, in quanto continuum che cuce assieme le nostre origini ed il futuro. Questa venerazione è il vero terreno fertile della vita.
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