🇮🇹 E tu osi chiamarmi terrorista Mentre guardi la tua pistola Quando penso a tutte le azioni che hai compiuto Hai saccheggiato molte nazioni Diviso molte terre Hai terrorizzato la loro gente Hai governato con mano di ferro E tu hai portato questo regno di terrore nella mia terra - Joe McDonnell, da "Un senso di libertà" (1983) Dall’alba di sabato, i recenti attacchi di Hamas hanno preso di mira Israele e hanno coinvolto il resto del mondo. Vari media stanno tentando di dare un senso a questi eventi in corso, rivelando come le informazioni dei vari narratori siano profondamente intrise di ideologie e opinioni contrastanti. Il tentativo di essere “neutrali” non è plausibile in qualsiasi resoconto, ma diventa impossibile quando l’obiettivo è spiegare il rapporto tra Israele e Palestina. Cosa viene denunciato, cosa viene ignorato, chi è il ''terrorista'', chi è la ''vittima'', chi è il ''noi'': tutte queste scelte implicitamente lasciano trapelare la verità del proprio giudizio nel linguaggio. Per questo motivo, crediamo che questo sia il momento in cui l’informazione e il giornalismo debbano abbracciare il vero potere politico della penna. È tempo di riconoscere come l’informazione può portare alla guerra o guidarci verso la pace. Israele: una breve storia e mitologia
Secondo lo storico israeliano Ilan Pappé, il caso israelo-palestinese mostra chiaramente come la disinformazione storica e la manipolazione dell’informazione possano consentire l’oppressione di una popolazione e legittimare un regime di violenza e oppressione. I principali media europei hanno spesso preso come oggettive le narrazioni portate avanti da Israele, violando così il diritto morale del popolo palestinese alla propria terra. Nel suo libro “Dieci miti su Israele” (2017), Pappé mira a dissipare queste narrazioni attraverso la documentazione storica. (1) Qui viene presentato un breve riassunto di alcuni, con un glossario incorporato, prima di tentare di dare un senso agli eventi recenti e alla loro rappresentazione. 1. Intorno al 1800, prima dell'avvento del sionismo, la Palestina non era una terra deserta: vi abitava una fiorente società araba, per lo più islamica e rurale, come in altre zone limitrofe. Nel 1916, le potenze coloniali di Gran Bretagna e Francia si unirono nell'accordo segreto Skyes-Picot e divisero l'area creando stati-nazione (o wataniyya, in arabo) e la Palestina cominciò a considerarsi un paese arabo indipendente. Qui, sotto il dominio britannico, venne definita un'unica entità territoriale unendo le tre province del sud di Beirut, Nablus e Gerusalemme per le loro somiglianze linguistiche, culturali e tradizionali. Mentre aspettava l'approvazione ufficiale dello status internazionale nel 1923, il governo britannico rinegoziò i confini dell'area. Lo spazio geografico della Palestina era chiaro, ma non a chi appartenesse tra i nativi palestinesi o i nuovi coloni ebrei. 2. Il sionismo è un movimento che crede nello sviluppo di un progetto ebraico nazionalista, ora incarnato da Israele, sulla premessa che questo fosse “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Questo fu istituito nel 1897 sotto l'austro-ungarico Theodor Herzl, e successivamente guidato dal primo presidente di Israele, il russo Chaim Weizmann. Questa ideologia era condivisa solo da una minoranza di ebrei ed il movimento faceva molto affidamento sui funzionari britannici e, successivamente, sul potere militare israeliano che era fortemente intrecciato con quello degli Stati Uniti. 3. Sionismo ed ebraismo NON sono la stessa cosa: la falsa fusione dei due può essere ricondotta all’emulazione della nazionalizzazione in atto in Europa e (da qui) oltre, nonché alla necessità di fuggire da una società che discriminava gli ebrei. Nella visione sionista, la storia della Palestina è limitata a fasi in cui questa è stata dominata da altre culture: dalla Palestina dei miti biblici, alla Palestina governata dai romani, dai crociati e, infine, dai sionisti. 4. Quando nel 1882 arrivarono i primi coloni sionisti, questi cominciarono a considerare i nativi come stranieri e invasori. Si trattava di un movimento colonizzatore simile a quello che stava avvenendo per conto delle forze europee nelle Americhe, in Sud Africa, in Australia e in Nuova Zelanda. Dalla fine del XIX secolo sorsero conflitti tra la comunità palestinese e i coloni sionisti, e la prima creò una Conferenza nazionale palestinese nel 1919 con lo scopo di comunicare con il governo britannico e i leader sionisti. Nel 1928 gli inglesi proposero un patto di uguaglianza tra i due partiti: i palestinesi, contro la volontà della maggioranza, accettarono; i sionisti rifiutarono. Seguirono conflitti violenti, esacerbati dal fatto che furono sottratte terre che appartenevano ai palestinesi da secoli. Fu qui che il predicatore siriano, l'esiliato Izz al-Din al-Qassam, riunì i suoi primi seguaci per intraprendere una guerra santa islamica contro gli inglesi e i sionisti all'inizio degli anni '30. Il suo nome fu successivamente adottato dall'ala militare del movimento Hamas. Nel 1947, l’ONU discusse per 7 mesi il destino della Palestina, dovendo scegliere tra due opzioni: un unico stato che includesse coloni ebrei ma che non consentisse un’ulteriore colonizzazione sionista (come proposto dai palestinesi), o una divisione della terra in uno stato musulmano e uno stato ebraico. Optò per quest'ultima. Il progetto sionista può quindi essere compreso come un progetto coloniale che è stato, ed è tuttora, accolto dal movimento nazionale palestinese come un fenomeno di resistenza anticoloniale. 5. La guerra del 1967 NON fu necessaria: Israele la vide come un’opportunità per confinare i palestinesi in Cisgiordania e Gaza come abitanti senza cittadinanza e prigionieri, consentita a livello internazionale come soluzione temporanea finché dall’altra parte non fossero emerse offerte di pace. In altre parole, se i palestinesi avessero accettato gli espropri delle terre, le severe restrizioni di movimento e la dura burocrazia dell’occupazione, allora gli sarebbe stato permesso loro di lavorare in Israele o trovare una sorta di autonomia; in caso contrario, si sarebbero scontrati con la forza dell’esercito israeliano. Ma ciò è solo storia: il pesante coinvolgimento di Europa e Stati Uniti nel caso israelo-palestinese, così come la complicità delle organizzazioni internazionali e il loro mancato riconoscimento della natura della violenza israeliana, persistono ancora oggi. Le narrazioni hanno il potere di creare il nostro mondo e per questo motivo comportano delle responsabilità. Cosa è successo la scorsa settimana Gaza è sotto il blocco militare israeliano illegale dal 2007. Sabato mattina, 7 ottobre, il gruppo militante Hamas ha attaccato varie aree israeliane circostanti la Striscia di Gaza, provocando uno degli attacchi più gravi che Israele abbia subito da decenni. Hamas è un gruppo militare fondamentalista islamico, che nel tempo ha guadagnato il sostegno popolare grazie alla fornitura di istruzione, medicine e assistenza alle persone che soffrivano a causa dell'occupazione israeliana nella Striscia di Gaza. Questo attacco ha causato almeno 200 morti, tenendo in ostaggio numerosi civili e soldati israeliani all'interno della Striscia di Gaza. La risposta israeliana essere riassunta nell’annuncio di un assedio completo su Gaza da parte di Yoav Gallant, ministro della difesa israeliano: “Ho ordinato un assedio completo su Gaza. Niente elettricità. Niente cibo. Niente carburante. Niente acqua. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo degli animali umani e agiamo di conseguenza”. Ancora un’altra narrazione che convalida lo storico progetto coloniale e militare di Israele e la sua continua oppressione dei popoli nativi sul territorio. La violenza che Hamas ha perpetrato contro lo Stato israeliano non è giustificata, ma piuttosto spiegata attraverso questa breve presentazione delle sue origini storiche e contestuali. Insieme a questo, però, DEVE essere spiegata la violenza che Israele ha perpetrato contro i palestinesi nell’ultimo secolo. Un’omissione di tutto ciò è propaganda. Anche l'invocazione del violento attacco di Hamas in nome della “giustizia” è propaganda. Ma il riconoscimento che Hamas è un gruppo fondamentalista e militarista, nonché un sintomo della resistenza alla violenza israeliana che si estende nella storia, può offrire un modo più completo di inquadrare il problema e, si spera, far luce sulle sue soluzioni. Cos'è il terrorismo? Secondo uno studio condotto dal notiziario francese Le Grand Continent, l'attacco di Hamas divide il mondo in tre gruppi: da un lato paesi come Europa, India e Kenya, che condannano l'attacco di Hamas e sostengono Israele; una piccola minoranza che difende Hamas; e una grande maggioranza di paesi che si dichiarano “neutrali” e sostengono una cauta riduzione delle tensioni. Nel 1986, il giovane senatore Joe Biden affermò che “se non ci fosse un Israele, gli Stati Uniti avrebbero dovuto inventarsi un Israele per proteggere i propri interessi nella regione”. Questo non era solo un progetto politico, ma “il miglior investimento da 3 miliardi di dollari che facciamo”. Qui sorge la domanda su cosa simboleggi davvero Israele. Senza guardare troppo indietro nel tempo, il presidente francese Emmanuel Macron ha scritto: "Condanno fermamente gli attuali attacchi terroristici contro Israele", mentre il britannico Rishi Sunak esprime il suo shock per gli "attacchi dei terroristi di Hamas contro i cittadini israeliani" sulla base del fatto che “Israele ha il diritto assoluto di difendersi”. Se per “terrorista” si intende qualcuno che sostiene la repressione e la violenza, diffondendo allo stesso tempo il terrore per raggiungere i propri obiettivi, allora cosa rende il governo israeliano meno colpevole di Hamas? La risposta risiede nelle narrazioni, nella propaganda, nella violenza, nel silenzio, nella manipolazione e nella disinformazione. La Resistenza e le sue vittime Stare dalla parte della resistenza palestinese non significa legittimare la sofferenza delle vittime israeliane della violenza che molto spesso sono civili, giovani e anziani; significa piuttosto riconoscere i giochi di potere storici e ideologici necessari per affrontare il problema più profondo che è l’occupazione, l’imperialismo e il militarismo. La resistenza, soprattutto quando essa impiega mezzi violenti per sopravvivere, è spesso messa a repentaglio da contraddizioni etiche: la sofferenza di un popolo contro un altro, per esempio. Tuttavia, in un’occupazione militare, i giochi di potere non possono cambiare senza una qualche forma di ciò. Essere violenti contro un sistema che ti opprime e ti violenta è resistenza, non terrorismo. Nelle parole dello scrittore, attivista e internazionalista marxista palestinese Ghassan Kanafani, “l’imperialismo ha posto il suo corpo sul mondo, la testa nell’Asia orientale, il cuore nel Medio Oriente, le sue arterie raggiungono l’Africa e l’America Latina. Ovunque lo colpisci, lo danneggi e contribuisci alla rivoluzione mondiale.’’ La differenza tra terrorismo e resistenza è chi racconta la storia, o meglio chi possiede i mezzi più potenti per dare vita a tale narrazione. La causa palestinese quindi non è solo una causa localizzata in cui ci si aspetta che il popolo palestinese rimanga solo, ma un’opportunità per tutti coloro che nella comunità internazionale desiderano lottare contro l’oppressione e lo sfruttamento di solidarizzare con la lotta di queste persone. Solo in questo modo la storia potrà redimersi dall’ingiustizia ed educare un futuro in cui “gli oppressi vivranno, dopo essere stati liberati con la violenza rivoluzionaria, dalla contraddizione che li incatenava”. Il terrorismo è un sintomo del potere. Più precisamente, di chi ha il potere di diffondere tali narrazioni di terrore. Per combatterle, dobbiamo istruirci e trovare le cause profonde che stanno alla base dell’imperialismo e del militarismo, nonché della disinformazione e della propaganda. NOTE Per un ulteriore approfondimento, l'ebook di “Dieci miti su Israele” è reso disponibile gratuitamente in traduzione italiana dalla casa editrice Tamu Edizioni al seguente link: https://tamuedizioni.com/tproduct/467310025-775315736231-dieci-miti-su -israeliano
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